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pizza gourmet. Impasto all'orzo tostato
Pizza contemporanea Francesco Aliano

Fine anni 90, in giro c’era la lira (benedetta!) si andava in edicola a comprare qualche rivista di cucina. Al suo interno, qualche illustre pizzaiolo dava dosi di pizza leggera a “lunga lievitazione”. Fu la svolta. Allora era vero! Si poteva diminuire la quantità di lievito ed usare il frigo in parole povere. Felicissimo ma apparentemente contrariato ti domandavi: speriamo che questo metodo funzioni. Tolto il dubbio, te ne rimaneva un altro: quindi esiste qualcuno più bravo di me? Ma come può essere? E ti venivano i complessi di inferiorità legati al fatto che avevi già quasi 10 anni di esperienza alle spalle. Non solo; nelle ricette si utilizzavano pomodoro e mozzarella unici al mondo ed ingredienti dal colore fluorescente. All’occhio risaltavano luccicanti, e già in quel periodo le foto cominciavano a fare la differenza. Pochi sapevano, poiché l’avvento di internet non era al massimo e i vari social non esistevano e quindi, non c’era nessuna notorietà. Tutto rimaneva li, stampato su un foglio di giornale. La ricetta ti dava un punto di partenza, poi dovevi fare le prove e vedere se ci riuscivi. Cambiavi la farina e ti adeguavi a ciò che avevi a disposizione. Semola rimacinata e farina 00 debolissima. L’impasto era da anni 30% semola, rimanenza 00. Per i primi 2-3 anni (che ricordo) del 2000, l’utilizzo del frigo era ormai diventato un gioco da ragazzi. Si impastava, si formavano i panetti, si faceva lievitare un po’ a temperatura ambiente, e si inserivano i cassetti nel frigo. Ricordo che tra un cassetto ed un altro, si metteva la pellicola per non fare asciugare il tutto. Il che non era male, funzionava diciamo. Di tanto in tanto, si cambiava l’aiuto pizzaiolo. Era un giorno importantissimo. Lo vedevi arrivare, guardavi il suo stato d’animo ed il suo aspetto e capivi se era bravo o meno prima di cominciare a lavorare. Intuivi che aveva un modo di stendere e di usare gli arnesi in maniera diversa dalla tua, il che significava litigarsi. Ma chi te l’ha insegnato? Ma sai dove ho lavorato io!!… si rispondeva generalmente. Cominciavano i battibecchi legate alle esperienze di lavoro e giravano voci sui metodi e sulle lavorazioni di varie pizzerie in cui si aveva lavorato. Tutto sommato si faceva esperienza com’era giusto.

Evoluzione della pizza
Francesco Aliano

Nel primo decennio 2000, una pizza veniva definita buona se il locale in cui veniva prodotta era top. Si lavorava perché si aveva a disposizione un mare di posti a sedere, una veduta romantica e possibilmente anche un po’ di musica. Tra i fornitori, tra un caffè ed un altro, si cominciava a capire il consumo delle varie pizzerie di provincia. Sai? La pizzeria X consuma 40 sacchi di farina la settimana! E tu che ne consumavi 39, ti sentivi screditato. In fondo, sapevi di essere fortunato e di lavorare abbastanza. La mozzarella si comprava a filoni di 2 kg e si doveva tritare. Notavi che anch’essa doveva riposare poichè, se usata in giornata, si bruciava. Poche erano le ditte che vendevano quella già tagliata, ma costava tanto.

Talvolta si cambiava pizzeria ed avevi il timore di incontrare un mastro scorbutico. L’esperienze di lavoro stagionali e di conseguenza i cambiamenti di locali ti facevano entrare in un giro importante, di colleghi top. Ti ritrovavi in un luogo dove la ricetta della pizza era la Bibbia, appesa al muro e doveva essere eseguita a perfezione. O caldo, o freddo, o estate o inverno, la quantità di lievito ed acqua era sempre uguale. Non si accettavano cambiamenti. O quella e ti rompevi le braccia a stendere, oppure te ne andavi. Non erano consentiti dubbi. Talvolta impastava il proprietario pur non sapendo nulla. Ti diceva “sai di chi è quella ricetta??…di mister x”, il campione dei campioni. Annuivi, e zitto zitto eseguivi. E già capivi che il cambiamento non era ben accetto. Potevi avere esperienza da vendere ma non si riusciva ad imporla. Esperienze che ci hanno formato a dovere. Non me ne pento.

quale impasto scegliere?
Evoluzione degli impasti pizza

Nell’ultimo decennio, invece, si assiste all’espansione dei programmi tv, dei social e della rete in generale. Lo chef, il pizzaiolo ed il pasticciere diventano i dottori e gli avvocati della società moderna. Si assiste ad una grandissima crescita di mestieri e professioni a cui, nel passato, nessuno dava l’importanza che meritava. Nel mondo della pizzeria, si è capito che un solo impasto non bastava. Alcuni noti pizzaioli postano foto di pizze mega spaziali e ovviamene sono presi di mira, nel bene o nel male. Si inventano nuovi impasti, nuove farine, nuove tecniche. Tutta l’industria del food si attrezza. Forni rotanti, forni elettrici, forni a legna. Impastatrici a raggi X. La napoletana style pizza diventa l’eccellenza. Nasce la pizza canotto la quale diventa per antonomasia quella da imitare. Nasce quella gourmet. La pizza alla pala e quella con pasta madre viva. Quella con il carbone vegetale e quella con la curcuma. C’è chi promuove la pizza con farina di carote, chi invece la fa con la farina di manzo. Pizze che necessariamente devono essere postate prima di servirle al cliente. Nel 2020 la pizza si serve fredda perché prima si deve trovare l’angolazione ottimale per fotografare gli alveoli. Se la pizza non ha alveoli non è una buona pizza. Il lavoro è diventato il farsi notare. In tutti i modi possibili. Postare sui social non significa fare pubblicità, ma dire a tutti “guarda cosa ho fatto”.

Perché accade tutto questo? La risposta è semplice: oggi più che mai, per “essere” si deve necessariamente apparire. E per apparire, non si deve necessariamente essere bravo. Bastano i soldi. Basta obbedire al sistema. Il sistema visibilità. I maestri insegnano il loro metodo ed i follower osannano diventando loro stessi maestri in poco tempo. Ma dove siamo finiti??? La pizza è una cosa semplice, basta farla con amore . Ma oggi, purtroppo, non basta.

Per distinguersi, e farsi notare si deve inserire in menu qualcosa di diverso. Farina di carrubba, 00 integrale, zucchero allo zenzero, sale a pois , olio del Madagascar. Ed ancora siamo nel 2020.